di
Giancarlo Carpi -
pubblicato il 29 Maggio 2006
In un saggio pubblicato lo scorso anno sul numero estivo della rivista “Critical Inquiry” (*), Sianne Ngai, professore di letteratura a Stanford, presentava una lista di concetti estetici recenti quali glamorous, whimsical, luscious, cozy rileggendo il modernismo americano (in particolare Tender Buttons di Gertrude Stein) alla luce di uno di essi: il cute.
Questo termine, oggi d’uso comune negli U.S.A. e traducibile con grazioso, carino, tenero, assunse il significato corrente all’inizio del Novecento quando l’incremento della produzione industriale americana, spingendo al lavoro fuori casa gran parte della popolazione, ridefinì la visione del focolare domestico e le aspettative degli adulti nei confronti della prole.
Si diffuse allora l’immagine di quello che lo storico Gary Cross chiama il New Kid: un bambino ideale in cui le attitudini alla vivacità e alla vulnerabilità caratteristiche dell’infanzia sconfinano nell’animalità e nell’inferiorità, concorrendo a rinforzare negli adulti l’idea di una superiorità compiaciuta e amorevole. Nacque, dall’idealizzazione vittoriana del fanciullo, una diversa idealizzazione dell’innocenza infantile. In pochi anni, per indurre i bambini a comportamenti adeguati all’idea che gli adulti avevano di loro, l’industria del giocattolo, il merchandise legato al fumetto, all’illustrazione e al cinema animato diedero al New Kid anche una forma. Di questa forma, e della sua efficacia, in molti hanno fatto esperienza anche in Italia: avvertire la speciale vulnerabilità che sprigiona dalle creature del cute, osservandole sul Web come icone o disegnate sopra accendini e lattine o nei fumetti e nelle serie animate è infatti un fenomeno sopraffacente, raramente accompagnato dal desiderio di conoscere cosa, in quei momenti, condiziona la nostra attenzione. Chi volesse saperlo, scoprire il meccanismo di questa persuasiva estetica del consumo, potrebbe ritornare a quando, circa un secolo fa, soggetti iconografici diversi iniziarono a essere deformati nel senso delle forme del neonato umano, forme capaci d’innescare nell’adulto irresistibili reazioni d’affetto. Potrebbe, in questo modo, rendersi conto di ciò che il cute divenne allora: un filtro formale di semplicissimo uso e idoneo a restituire qualsiasi soggetto in sembianze diverse dalle naturali, in forme semplificate e commercialmente attraenti perché dotate d’una “tenera deformazione”. [Continua »]