
Ci pensi ogni tanto alle rane?, domanda Francesco Bianconi al suo amico di infanzia in un testo intriso di nostalgia sulla giovinezza perduta e il tempo che ci sfugge, pur conservando i propri segni. Nella canzone Le rane dei Baustelle, la prospettiva assunta è quella di chi ha abbandonato da tempo la provincia, presumibilmente per trasferirsi in città, e parla al suo compagno di giochi, ormai lasciato indietro insieme alle fantasie che animavano le loro giornate estive.
Ogni esistenza ha le proprie rane, simbolo di una spensieratezza ormai trascorsa, gioco su cui si indugiava da ragazzi, perduto insieme alle speranze e all’innocenza (“ti sei sistemato? che prezzo hai pagato?”). Le rane rappresentano i nostri ricordi felici, quelli che, una volta recuperati dall’antro polveroso della memoria, consentono a Robin Williams/Peter Pan di tornare a volare in Hook di Spielberg. Ma anche quelli che possono farci cadere nella disperazione, come ricorda il grido doloroso di Moretti in Palombella rossa:
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