L’orizzonte è un concetto bivalente: un punto di riferimento fermo che regala con costanza una rinnovata sicurezza ma anche un elemento inafferrabile; una sottile linea lontana che non raggiungiamo mai, che non “tocchiamo” mai ma che è sempre lì, a fare da sponda ai nostri viaggi, da confine ai nostri limiti, da conquista ai nostri sogni, ai nostri desideri.
L’orizzonte è sempre all’interno di un viaggio: rappresenta la tensione ultima, quel punto d’arrivo che cambia costantemente come cambiano i nostri passi sulle strade che percorriamo.
Cosa ci aspetta alla fine dell’orizzonte? Dovremo fermarci o avremo l’opportunità di proseguire, di andare oltre?
Con la ripresa delle Officine e il miglioramento delle condizioni imposte dalla pandemia, BombaMag ha spontaneamente ridotto la propria presenza nella vita associativa di BC ed è diventata una pubblicazione più occasionale.
Abbiamo da mesi in cantiere un numero di cui è stata più volte posticipata l’uscita, ma che in realtà non ha un inizio né una fine e che quindi abbiamo deciso di pubblicare oggi così com’è, rimasto nella sua ultima versione, “incompiuta”.
Il numero 6 di BombaMag si ispira platealmente nella grafica a “Il medium è il massaggio” di McLuhan per porre però alcuni quesiti più contemporanei: in questo nuovo villaggio globale, ancora più segnato dall’istantaneità e dalla contemporaneità, dalla reciproca connessione, dalla possibilità di parlare sempre, a tutti, di qualunque cosa, stiamo perdendo la capacità di ascoltare, elaborare, discernere?
Come vivere e comunicare in un mondo saturo di immagini, permeato di rumore di fondo e che ci chiama, continuamente, alla reazione immediata, di pancia? Cosa è ovvio davanti a noi, che non notiamo perché attenti solo – come direbbe proprio McLuhan – allo specchietto retrovisore?
A seguito di una situazione imprevista abbiamo ritenuto di sospendere l’Officina fissata per sabato 23 aprile e rinviarla a sabato 21 maggio, mentre è confermato il laboratorio di lettura previsto per martedì 26 aprile. Seguite sempre il calendario in alto a sinistra nella nostra home page e vi terremo aggiornati tramite questo sito e i nostri social (Facebook, Twitter).
Chissà, chissà domani, Su che cosa metteremo le mani.
Così canta Lucio Dalla all’inizio della splendida canzone che è Futura. Domani arriva presto, è quasi qui. Il futuro resta imprevedibile, certo, ma è tanto vicino da poterlo quasi toccare. Ma se un futuro imminente, a portata di alba, può fare paura, cosa aspettarsi da un futuro lontano?
Guardare all’orizzonte può essere terrificante se non abbiamo idea di cosa ci aspetti oltre quella linea. Possiamo pianificare, agire con un obiettivo in mente, avere chiaro dove vogliamo andare, ma dobbiamo anche accettare che non sempre la strada sarà lineare, che potremmo dover deviare, persino cambiare del tutto destinazione. Perché non possiamo sapere cosa accadrà. Come non perdersi?
Francisco e Irene, protagonisti del romanzo D’amore e ombra di Isabel Allende, si trovano costretti a lasciare il loro paese – il Cile sull’orlo della dittatura – a causa del loro lavoro di giornalisti, per andare incontro ad un futuro incerto, in un paese nuovo. Essendosi dati alla macchia, grazie ad una guida si inoltrano tra le montagne, per raggiungere il confine.
Quando si vuole vivere un’avventura, la prima cosa da evitare è sicuramente la strada battuta, il sentiero noto, la via percorsa tutti i giorni; eppure è proprio accantonando le potenzialità dei luoghi noti che ci si lascia sfuggire sotto il naso esperienze importanti, talvolta essenziali.
Esattamente come ci lasciamo scivolar via fatti e cose che ci capitano tutti i giorni, in un fiume di quotidianità in cui, al contrario di quanto sosteneva Eraclito, ci si bagna non solo due volte, ma sempre; o almeno diamo per scontato che il quotidiano sia ciò che, ogni singolo giorno, si ripete uguale a se stesso. Ma soffermarsi e porre attenzione sulle piccole cose comuni permette di rivelare (e quindi di svelare) tanti piccoli mondi che hanno un senso e un significato generalmente velato dall’abitudine.
Come ci si abitua a oggetti ed eventi, così si tende a fare con le persone: familiari, amici, compagni di vita sono punti di riferimento di cui crediamo sapere le coordinate. Per quanto profondamente si conosca una persona e si sia legati ad essa, il fenomeno dell’interrelazione non è facilmente intellegibile, perché non segue logiche matematiche né tantomeno può essere limitato alla percezione soggettiva; entra infatti in gioco questo elemento ignoto e solo in parte comprensibile che è l’altro, cui affidarsi alla fine dei conti comporta rischi che razionalmente non vale la pena di correre. Ma è qui che scende in campo la fiducia (e con essa la fede), la quale permette di creare legami e di crederli, reciprocamente, degni di essere vissuti.
C’è una notte, nelle pagine della letteratura, alla quale possiamo andare ogni volta che pensiamo ad un bivio, alle scelte e alle conseguenze. È la notte in cui gli spiriti dei Natali passati, presenti e futuri fanno visita a Scrooge in Canto di Natale di Charles Dickens.
I tre Spiriti sono il dono ricevuto dal vecchio socio di Scrooge, l’ormai defunto Marley che, andatosene nell’aldilà, invia un avvertimento all’avaro protagonista. Scrooge viaggia così nel tempo, vedendo cosa era da bambino, cosa è la vita nel presente. E vede pure quelle che saranno le conseguenze di una vita improntata al più gretto egoismo. Ma Scrooge, fino alla fine delle apparizioni, non si rende conto che la storia che scorre davanti ai suoi occhi ha lui per protagonista. Tant’è che nella scena in cui lo Spirito del Natale futuro lo conduce davanti alla tomba dell’uomo morto solo e disprezzato da tutti, presagendo l’imminente e terribile scoperta, Scrooge domanda:
“Prima che io mi avvicini alla pietra che tu mi indichi – … rispondi ad una domanda: sono queste le ombre delle cose che saranno, o sono le ombre delle cose che potrebbero essere?”
Questa domanda rappresenta la chiave di volta del Canto, perché butta in scena la coscienza del protagonista e con essa la nostra. Che parte abbiamo in commedia? viene infatti da domandarsi; dobbiamo subire le conseguenze delle nostre scelte in modo immutabile o c’è ancora margine per volgerci al bene e cambiare il corso degli eventi e della nostra esistenza? Lo Spirito scompare, Scrooge si risveglia nel suo letto, si ravvede e Dickens mette nelle ultime pagine la gioia conseguente alla sua scelta, per lui e per chi lo circonda.
Richard Lassels (1603-1668), autore di un Voyage of Italy, Parigi 1760
Nel suo “Viaggio in Italia” del 1786 Johann Wolfgang von Goethe scrisse: Lo scopo di questo mio magnifico viaggio non è quello di illudermi, bensì di conoscere me stesso nel rapporto con gli oggetti.
Ci sono due concetti che vale la pena sottolineare: viaggio e illusione. Il combinato disposto dei due funziona a meraviglia e ci basta pensare alla nostra ultima vacanza per renderlo vero. Ma ancora di più “funziona” se applicato all’altrove, un luogo altro che presuppone uno spostamento (viaggio) e un lavoro di immaginazione per proiettare dentro di noi elementi che non conosciamo ancora e che non trovano una completa corrispondenza con il nostro reale, il nostro punto di partenza (illusione).
Che questo pensiero fosse alla base dei Grand Tour settecenteschi in Italia, viaggi compiuti da esponenti dell’aristocrazia europea come una sorta di iniziazione alla conoscenza del bello, è piuttosto scontato. Che poi diventasse un vero e proprio viaggio interiore ci permette di comprendere che l’altro da noi e l’altro da dove siamo spesso vivono di idealizzazione ed astrazione.