Il telaio

Tessitore con vista della torre di Nuenen
attraverso una finestra
, V. Van Gogh, 1884.

“Conosci disegni di tessitori? Io ne conosco ben pochi.” Così recita la lettera del 2 gennaio 1884 che Vincent Van Gogh manda a suo fratello Theo dal villaggio di Neunen, e continua: “Questa gente è difficile da disegnare perché le stanze sono piccole e non è possibile arretrare abbastanza per disegnare il telaio, e credo che questa sia la ragione per cui i tentativi di dipingerli sovente non riescono. Qui tuttavia, ho trovato una stanza nella quale ci sono due telai e dove si può fare“. Come tutti i grandi progetti, anche Van Gogh ne iniziò uno con un atteggiamento che non può dirsi tra i più ottimistici. Ma cosa sarà successo dopo, visto che tra il dicembre del 1883 e l’agosto del 1884, dipinse 10 quadri e 16 disegni a penna e ad acquerello di questa “gente difficile”? Cosa avrà rapito la sua attenzione?

Nei mesi appena trascorsi abbiamo parlato di filo, l’unità che crea la tela; di intreccio, l’ordine (o il disordine) che definisce il disegno; di nodi da sciogliere o stringere; della mano che tutto decide. È arrivato il momento di  chiamare in causa la struttura intorno alla quale hanno ruotato tutti questi elementi: il telaio. La natura del telaio è in realtà duplice: è uno strumento in grado di mettere insieme i singoli elementi e trasformarli in una cosa nuova, inesistente senza il giusto incastro delle sue parti; è una struttura, una base fondamentale dalla quale partire per aggiungere il resto dei componenti. Il primo intreccia ed unisce, il secondo definisce e sostiene.

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Creazione e libertà

Agenzia Michele Rizzi & Associati, 1981

Probabilmente Leonardo da Vinci non avrebbe mai immaginato che l’enigmatico volto della sua sospirata Gioconda sarebbe comparso, con po’ di fantasia (e di photoshop) nelle pubblicità di svariati prodotti.

Le cose fatte a mano -siano opere d’arte, libri o canzoni- quando escono dal laboratorio creativo dell’artista ed entrano a contatto con il mondo assumono inevitabilmente una vita propria e indipendente, svincolata dal controllo e dalla volontà di colui che le aveva realizzate. Possono essere interpretate e fruite in modo imprevisto, lontano o indesiderato rispetto alle intenzioni o al pensiero del creatore, come nel caso della Gioconda. (Per non pensare a cosa sarebbe successo se gli amici di Virgilio avessero acconsentito alla sua richiesta di bruciare l’Eneide!).

Ma a volte l’oggetto può prendere vita per davvero e trasformarsi in un essere animato. Narra Ovidio, nel decimo libro delle Metamorfosi, che lo scultore Pigmalione avesse realizzato una statua femminile così bella che se ne innamorò. Pregò la dea Venere di avere una moglie simile alla fanciulla d’avorio e la dea, impietosita, lo esaudì, e trasformò la statua in una donna.

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La parola delle mani invisibili

Tintoretto, Atena e Aracne

Fra il 1543 e il 1544 Jacomo Robusti meglio noto come il Tintoretto realizzò una tela che con tutta probabilità era destinata ad un soffitto: rappresenta la scena mitologica ben descritta da Ovidio nelle sue Metamorfosi (VI, 129-145) della contesa fra Atena e Aracne. Aracne, giovane e abilissima tessitrice della Lidia, sfida la dea Atena, che presiedeva anche alla filatura e alla tessitura, convinta di essere più brava di lei. Per dimostrarlo, intesse un arazzo in cui sono raffigurati gli amori degli dei dell’Olimpo ed in particolare Il ratto di Europa. Ma gli dèi non possono permettere che i mortali siano pari a loro. Così Atena distrugge la tela e tramuta la bella tessitrice in un ragno che pende dal suo filo.

L’opera, oggi conservata alle Gallerie degli Uffizi a Firenze, presenta un’impostazione prospettica che costringe lo spettatore a guardare dal basso il telaio imponente: Aracne, vestita come una cortigiana cinquecentesca, con la camicia aperta e i gioielli, si intravede da sotto in su attraverso i fili tesi sul macchinario. È intenta al suo lavoro con grande attenzione: colpisce il fatto che non si vedono le mani, si intuisce il movimento dello strumento ma non ci è data la possibilità di ravvisare la manualità della tessitura, ovvero la principale caratteristica dell’artigianalità. Di contro, la dea Atena che le diede di fronte, ha in bella vista le mani: una poggiata sullo scranno e l’altra sotto il mento, quasi in un gesto di sfida verso il risultato dell’opera di Aracne. Nello stesso quadro c’è un contrapporsi di azione e immobilità: quelle stesse mani che compiono l’opera non si vedono e non si vedranno più perché cancellate da altre mani più feroci e vendicative.

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Fare a Mano

Nel film Bianco, Rosso e Verdone il protagonista – Mimmo – si trova a dover fare un’iniezione all’anziana nonna. Essendo in viaggio, si fermano lungo la strada. Mimmo è in evidente difficoltà, ma fortunatamente gli arriva in soccorso un burbero camionista che afferma di essere perfettamente in grado di fare la puntura alla nonna. Mimmo non si fida, ma alla fine cede la siringa e il camionista esegue l’operazione senza che la vecchietta se ne accorga. A questo punto, pronuncia la celebre frase: 

‘Sta mano po esse fero e po esse piuma. Oggi è stata piuma.

Strano ma vero, proprio questo aforisma riassume un aspetto fondamentale del tema di questo mese. Le nostre mani, come ogni strumento, possono essere utilizzate in modo positivo o negativo, distruttivo o creativo, a seconda della nostra volontà. Se applichiamo questo concetto al tema dell’anno — “La trama del Mondo” — pensiamo alla mano come strumento in grado di fare o disfare trame, intrecci, nodi. Da questo punto di vista, l’immagine più chiara a cui possiamo fare riferimento è quella delle Moire: Cloto, Lachesi e Atropo hanno nelle loro mani il filo della vita e lo tessono fino al momento della morte, quando Atropo giunge a tagliarlo.

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Nodi (in)solubili

Odisseo e Prometeo: due personaggi mitici completamente diversi, che sembrano non avere nulla in comune se non la circostanza di essere stati entrambi legati, sia pure per motivi diversi. Il versatile Odisseo fu legato dai suoi compagni all’albero della nave per poter ascoltare il canto delle bellissime ma famigerate Sirene senza correre rischi. Prometeo invece fu condannato ad essere incatenato su una rupe a strapiombo, in quanto colpevole, agli occhi di Zeus, di aver donato agli uomini il fuoco. I nodi che legano Odisseo all’albero della nave sono nodi di salvezza e ingegno mentre i nodi che legano Prometeo sono nodi di punizione e condanna

Il termine greco desmos (=vincolo, corda, nodo) -utilizzato sia per Odisseo nell’Odissea che per Prometeo nella tragedia di Eschilo Prometeo incatenato-, può indicare nodi ben diversi tra loro, ma che condividono qualcosa: entrambi sono realizzati per durare nel tempo. Quindi il nodo accoglie in sé una componente temporale, senza la quale perderebbe la sua ragion d’essere.

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Nodi e grovigli

Gassa d’amante

Probabilmente se qualcuno di voi ha qualche esperienza a bordo di una barca a vela riconoscerà l’immagine qui a sinistra: si tratta di una gassa d’amante, uno dei nodi più usati dai marinai per bloccare le cime. La gassa, sebbene a prima vista sembri complicata, è piuttosto semplice da riprodurre se si è allenati e la si può intrecciare anche mentre si viene sballottati tra le onde e si deve badare ai continui cambiamenti di direzione del vento e monitorare l’apertura delle vele. L’etimologia di questo nome è incerta ma in molti pensano che la gassa sia “d’amante” per la sua particolare forma: due capi della cima si intrecciano formando curve simmetriche e si affiancano paralleli in più punti, richiamando i corpi e i destini degli innamorati. L’analogia viene anche dal fatto che la gassa è un nodo resistente e se fatto bene difficilmente si scioglie per sbaglio.

Ma qui le somiglianze finiscono. Se la gassa è utile anche in situazioni di emergenza infatti è perché si tratta di un nodo anche molto semplice da sciogliere per liberare una cima bloccata, mentre il nodo che lega gli innamorati – chi lo ha sperimentato lo sa – non si scioglie così facilmente.

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L’intreccio nascosto

Potrebbe sembrare strano trovare un intreccio dietro la Divina Commedia di Dante o dietro un foglio di papiro. Questo perché l’intreccio – visibile e invisibile, e in qualunque senso lo si voglia intendere – può davvero celarsi dietro qualunque cosa. Pertanto, è utile (oltre che munirsi di occhiali) seguire il consiglio della poetessa Mary Oliver “Pay attention. Be astonished. Talk about it”. Solo così scopriamo, ad esempio, che un foglio di papiro, solo in apparenza liscio e sottile, è in realtà il risultato dell’intreccio di un doppio strato di strisce di papiro, orizzontale e verticale, successivamente pressato e poi fatto essiccare.

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