“Luke, sono tuo padre!”
Di lì a poco, l’emergenza del Web avrebbe regalato alla parola scritta una rinnovata giovinezza: chiunque poteva scrivere qualunque cosa ed essere letto da chiunque, ovunque, in qualunque momento. Il primo effetto di questa improvvisa emancipazione del testo scritto fu la grande abbuffata dei blog, i quali sarebbero però stati velocemente oscurati da modalità di comunicazione più sintetiche e più compatibili con una massa di informazioni esponenzialmente crescente ma accompagnata altresì da una soglia di attenzione sempre più bassa: quelle dei social.
Quando nel 2017 Twitter annunciò il raddoppio dei caratteri disponibili per un Tweet (da 120 a 240), avvenne un fatto singolare: gli utenti si sollevarono. La forza comunicativa di un tweet, si sosteneva, è proprio nella sua sintesi (figlia, per dirla tutta, dell’epoca dei costosissimi SMS degli anni Novanta). Può sorprendere che un gruppo di utenti si lamenti di avere maggiori possibilità: eppure, lo stile comunicativo online è diventato sempre più condensato, veloce, essenziale. Ha le caratteristiche più del “graffio” che del trattato; accenna, allude, si appoggia a un serbatoio comune di informazioni che viene dato per scontato e colpisce secco, fino a non prevedere neanche risposta, come nel caso di quella forma espressiva sostanzialmente nuova che è il meme. [Continua »]