[Report] Officina di novembre 2024

Nell’ambito della ricerca dell’invisibile, l’Officina di novembre è dedicata al tema del silenzio, che è stato indagato nelle sue molteplici accezioni e sfumature. Il silenzio può essere, infatti, inteso, di volta in volta e a seconda del contesto, come sinonimo di vuoto o di raccoglimento, come frutto di altrui imposizione o di personale ricerca, come sintomo di imbarazzo o di complicità, come momento temuto o anelato. Quel che appare comune alle differenti ipotesi è la percezione che raramente si possa parlare di “silenzio assoluto”, ossia, da un lato, che il mondo non è quasi mai completamente in silenzio, e, dall’altro, che il silenzio quasi sempre si configura quale autentico mezzo di comunicazione.

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Cercare l’invisibile – L’anima

Vinceremo perché siamo più profondi

Chissà cosa intendeva colui o colei che ha scritto questa frase sul muro di un palazzo a Torpignattara. Soprattutto da dove attingiamo la nostra “profondità”?

Nel nostro percorso di ricerca dell’invisibile è inevitabile confrontarsi con ciò che ci abita, in un posto non definito – o per qualcuno lo è? -, che abbiamo dentro, che ci caratterizza e che non percepiamo con i nostri sensi. 

La nostra anima.

L’etimologia della parola si connette con il greco ànemos, “soffio”, “vento”, che ce ne dà una concezione e sensazione ancora più sfuggevole ed inconsistente, ma allo stesso tempo di qualcosa di cui si sente l’effetto, la presenza.

Esiste un’altra parola greca che fa riferimento all’anima emozionale, θυμός – thumos – che si lega fisicamente al respiro o al sangue e che ha sede nel petto. Omero nei suoi canti la utilizza anche per esprimere le emozioni, i desideri e il coraggio degli eroi greci.

Nell’anima quindi risiede qualcosa che ci spinge, che ci mette in movimento, che ci agita, che ci manda avanti. Trascendendo dalla fisicità, l’anima rappresenta la nostra parte spirituale.

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[Report] Officina di ottobre 2024

Con l’Officina di ottobre principia il nuovo anno delle Officine di BombaCarta, dedicate al tema della ricerca dell’invisibile, cioè di quelle cose sottratte alla vista, ora perché troppo lontane ora perché troppo vicine, ora perché strutturalmente immateriali ora perché nascoste. “Cercare l’invisibile” significa cercare quello che, pur non vedendolo, sappiamo che c’è. Il tema dell’Officina di ottobre coincide con quello dell’anno e ne costituisce sostanziale introduzione.

Greta

Per iniziare a parlare delle cose invisibili Greta ha portato una pagina da La settimana enigmistica intitolata L’uomo invisibile: nell’immagine di un cantiere al lavoro ognuno doveva cercare quell’indizio che svelava la presenza di Astolfo, l’uomo invisibile. Ci siamo fatti aiutare dalla vista e dalla logica.

Abbiamo lasciato più spazio alla fantasia con una citazione di Ray Bradbury, da Cronache marziane: lo scrittore descrive il Tempo che scorre immaginando quale odore, suono, aspetto e consistenza esso possa avere.

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Cercare l’invisibile – Il silenzio

MoMa, 2013

There will never be silence. Così scriveva John Cage in una lettera datata 1954. Per il compositore americano, autore del noto brano 4’33”, non era un’affermazione che poteva destare sospetti.

Nell’estate del 1952 David Tudor, sul palco del Maverick Concert Hall a Woodstock, New York, interpretò il cosiddetto pezzo silenzioso di Cage: tre movimenti durante i quali all’esecutore è richiesto di non produrre intenzionalmente alcun rumore, il tutto per la durata di quattro minuti e trentatré secondi. Un modo di fare musica che potremmo definire destrutturato: via l’attenzione dall’esecutore e spazio ai rumori dell’ambiente circostante. Nel corso della sua vita Cage ebbe modo di sottolineare il fatto che questa sua opera, più che creare una sorta di shock nel pubblico aveva, nelle sue intenzioni, lo scopo di metterlo in sintonia con il silenzio, pensato come una struttura all’interno del contesto musicale.

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Cercare l’invisibile

Quante cose invisibili ci passano davanti gli occhi tutti i giorni? L’essere umano è da sempre consapevole dell’esistenza di cose che sfuggono ai suoi sensi, e che tuttavia determinano aspetti fondamentali della sua vita. Ogni civiltà esistita ha trovato modi diversi per cercare di decodificare queste cose invisibili, dando loro molti nomi: divinità, destino, fato, karma, magia, anima, psiche, etere, tempo…

Nonostante questi tentativi, l’invisibile non è stato ancora afferrato e ogni volta che ci imbattiamo in esso siamo costretti a fare i conti con i nostri limiti, a ripensare i nostri schemi e le nostre abitudini. L’invisibile non si concede facilmente, e bisogna soffermarsi sulle cose per poterlo cogliere.

Uno che ha molto a che fare con le cose invisibili è il fotografo. Non a caso l’ispirazione che ci ha spinti a scegliere questo tema dell’anno proviene da una Storia della fotografia:

Il fatto è che la speranza profonda […] è di rendere fotograficamente visibile tutto ciò che sfugge, tutto ciò che è al di là della visione naturale: ciò che è troppo vicino o troppo lontano, ciò che è nascosto nelle pieghe del corpo, ciò che è trasparente, ciò che scompare — e perfino l’anima.

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Ricominciare

A settembre tutto ricomincia. L’estate ci abbandona con una certa discrezione, la scuola riprende, le vacanze terminano e il lavoro torna ad essere protagonista delle nostre giornate.

Come a dire che la routine riprende possesso di noi e del nostro tempo, quel bene prezioso che non ci stanchiamo mai di “adorare”, che vorremmo ottimizzare e mettere al centro di tutto.

Anche BombaCarta recupera la sua quotidianità e si prepara ad affrontare un nuovo anno con Officine, laboratori e con una gestione del tempo che richiede impegno, iniziativa, entusiasmo, volontà e disponibilità. Come si decide, si sceglie un tema? Nell’anno 2005-2006 il nostro tema fu Cose che bisognerebbe sapere e uno degli editoriali aveva come titolo: Come si fa a prendere una decisione? La scelta è piena di aspettativa: rischi, opportunità, tensioni fra desideri opposti…

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Pance impossibili e possibili surrogati

GREULOT, NACHI STULÒ me tengo ‘na
fame, ‘na sgandula che pe’ la desperasián u
zervèl me STRÒPIA A SGRÒLL. Deo che
fame! Gh’ho ‘na fame che me magnaría anca
un ögio (mima di cavarsi un occhio) e me lo
ciuciaria ‘me ‘n’òvo. (Succhia l’immaginario
uovo) Un’orégia me strancaria! (Fa il gesto di
strapparsi un orecchio) Tuti e dòi l’oregi
(esegue e li mastica con avidità) ol naso
cavaria. (Esegue) Oh, che fame tégno! Che
me enfrocarla ‘na man dinta la boca, ziò in
t’ol gargaròz fino al stomego e CAÒ IN
PRATOSCIÒ GUIU (mima tutta l’azione) e
stroncaria da po’ le bidèle, tute le tripe a
STROSLON FRAGNAO (mima di cavarsi le
budella tirandole fuori attraverso la gola,
quindi le arrotola sul braccio) STROPIAN
CORDAME – SRUTOLON.

“La fame dello Zanni”, Dario Fo

Inizia così “La Fame dello Zanni”, il monologo di Dario Fo all’interno del suo “Mistero Buffo” del 1969. Difficile descriverlo a parole, andrebbe visto ed ascoltato!

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