“Donne che parlano” di Miriam Toews
“La conoscenza è fluida, cambia, i fatti cambiano, diventano dis-fatti”.
Le pagine di Donne che parlano di Miriam Toews sono intrise di dolore, orrore, sofferenza, tristezza, rabbia. Le parole scorrono come fiumi in piena contro un mondo che è andato in frantumi e che riconosce a loro, su tutte, una grande colpa: essere donne. Non valere niente.
“Siamo donne senza voce, afferma Ona, pacata. Siamo donne fuori dal tempo e dallo spazio, non parliamo nemmeno la lingua del paese in cui viviamo. Siamo mennonite senza una patria. Non abbiamo niente a cui tornare, a Molotschna perfino le bestie sono più tutelate di noi”.
Le protagoniste di questo libro abitano in una colonia mennonita, Molotschna, e quando si svegliano doloranti e sanguinanti per diversi giorni, sono accusate di immaginazione, di essere schiave del diavolo. Ma quel diavolo in realtà serpeggiava non nei loro pensieri, ma di notte, nelle loro stesse case. Gli uomini, che prima erano padri, zii, cugini, fratelli, si rivelano i carnefici di un atto disumano. Le stupravano nel sonno, dopo averle narcotizzate con uno spray per il bestiame.
Questi uomini ora sono in carcere, ma tra poco usciranno e le donne decidono di riunirsi di nascosto in un fienile per decidere cosa fare: restare e perdonare, rispondere con altrettanta violenza, andarsene? È qui che comincia il racconto. [Continua »]