Ad una amica

Ricordando Marilù, amica di BombaCarta e di tutti noi.

AVVOLTA DAL TEMPO NUOVO

 

Mi sento scrutata nell’intimo,

traversata dalla clemenza del tuo sguardo –

come cresco in questa visione, come vi sono immersa

in silenzio,

anche se a lungo tutti l’hanno ignorato

perché del tuo sguardo a nessuno ho mai fatto parola.

Ma la tua immensa quiete in me non avrà fine –

unica foce al mio cammino, e un giorno sarà così mia

che vi starò come fiume portato dal suo letto trasparente –

pure se il corpo inerte resterà.

Verranno i tuoi discepoli

– sentiranno che il cuore non batte.

La fonda bilancia del sangue non ritmerà più la mia vita

e dai mie piedi stanchi non fuggirà la strada.

Mi avvolgerà il tempo nuovo, che agli occhi languenti

già splende,

abiterà nel mio cuore –

e tutto insieme sarà colmo, diventerà delizia al pensiero.

Aprirò allora il mio canto, ne capirò ogni sillaba,

aprirò allora il mio canto, ch’è intento alla tua vita,

tutto pervaso dall’Evento, immensamente chiaro e semplice

che in ogni uomo germoglia, così palese e segreto

e che in me si è incarnato e rivelato

giungendo a molte genti, tra cui ha trovato dimora.

 

Karol Wojtyła


Incontrare se stessi

All’orizzonte all’improvviso vedi qualcuno, forse un amico
Si guarda intorno spaesato, provi a farti vedere lanciandogli un sasso
Ma vieni interrotto, qualcosa ti urta la gamba e fa male
Ti giri di scatto, proprio dietro di te c’è un signore
S’è appena voltato di spalle
Corri verso di lui per scoprire perché abbia voluto colpirti
Ma comincia a scappare, voleva ucciderti
Ne sei sicuro
Altrimenti perché fuggire?

Chi ascolta la canzone degli Eugenio in Via Di Gioia Il tuo amico il tuo nemico tu riconosce subito il gioco di specchi che intercorre tra i movimenti del protagonista in seconda persona e quelli degli altri due personaggi, il nemico e l’amico citati nel titolo: capiamo immediatamente che si deve trattare della stessa persona. Tuttavia quel “tu” non può concepire l’esistenza di un sé separato da se stesso e la situazione gli appare ben presto così straniante da sentire il bisogno di eliminare la sua copia, azione che lo porta per sbaglio al suicidio.

Raccogli la pietra con cui lui prima ti ha colpito la gamba
E gliela scagli addosso, puntando alla testa, mira perfetta
Lui fermo da dietro, non scappa
Non se l’aspetta, quiete
Qualcosa da dietro ti spacca la testa.

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Bisogna saper scegliere il tempo

C’è un racconto breve di Buzzati, Appuntamento mancato, in cui il protagonista giunge sul luogo designato dopo dodici anni e chiede se qualcuno per caso abbia visto una ragazza ferma in attesa.

Ma tu c’eri quel giorno? Mi hai aspettato? E se mi hai aspettato, quanto? Io correvo per arrivare in tempo, ansimando, incespicando, mi potevano prendere per pazzo. Ma sarebbe occorso che volassi. Ero lontano, sbalzato via inopinatamente dalla vita, a una distanza spaventosa da te, che non sapevi.

Tra i passanti solo uno ricorda, incredibilmente, quella ragazza con un paltò blu e un cappellino a fiori, graziosa, graziosissima, che aveva atteso un’ora sotto la pioggia, prima di essere accompagnata a casa dal passante stesso e, col tempo, diventare sua moglie. L’occasione mancata dal protagonista rappresenta, al rovescio, la svolta esistenziale dell’altro. Se da un lato, quindi, il racconto mostra la tipica nostalgia buzzatiana per le possibilità smarrite, dall’altro finisce per esaltare, quasi inconsapevolmente, una qualità spesso sottovalutata, ossia il tempismo. [Continua »]


Gnommero o labirinto?

È “divertente” indugiare tautologicamente su questo concetto: è complicato parlare di complessità…

Siamo abituati ad usare come sinonimi questi due aggettivi, complicato e complesso, eppure esistono delle piccole ma precise sfumature linguistiche. I due participi passati hanno derivazioni diverse: complicato, dal latino cum + plicare, ovvero ‘piegare’; complesso, dal latino cum + plecti (plector), ossia complecti, ‘abbracciare, comprendere’.

Visivamente restituiscono entrambi un’immagine di “chiusura” che si riverbera in tonalità di significato che vanno dall’oscuro, profondo al molteplice, composito.

Carlo Emilio Gadda lo fa spiegare (appunto) molto bene al commissario Francesco Ingravallo (Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana):

[…] Sosteneva, fra l’altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo. Ma il termine giuridico «le causali, la causale» gli sfuggiva preferentemente di bocca: quasi contro sua voglia. L’opinione che bisognasse «riformare in noi il senso della categoria di causa» quale avevamo dai filosofi, da Aristotele o da Emmanuele Kant, e sostituire alla causa le cause era in lui una opinione centrale e persistente: una fissazione, quasi […] La causale apparente, la causale principe, era sì, una. Ma il fattaccio era l’effetto di tutta una rosa di causali che gli eran soffiate addosso a molinello (come i sedici venti della rosa dei venti quando s’avviluppano a tromba in una depressione ciclonica) e avevano finito per strizzare nel vortice del delitto la debilitata «ragione del mondo». Come si storce il collo a un pollo. […]

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BombaMag n. 5: “Me, myself & I”

I quasi cinque mesi che separano l’uscita di questo numero di BombaMag dal precedente segnano concretamente la “fatica” cui siamo sottoposti in questo periodo. L’impatto violento con la pandemia, anche nel suo risvolto apparentemente paralizzante del lockdown, ci ha chiamati a una qualche forma di reazione. Dopo oltre un anno – esaurite le spinte attive, quelle reattive e, forse, anche quelle inerziali – galleggiamo tutti in uno strano brodo tiepido in cui le cose si confondono.

Si mescolano così in modo ineffabile le cicatrici della malattia e i germogli della guarigione, la paura e la speranza, ma soprattutto l’anomalia e la normalità: il “ritorno” a quest’ultima, che ci era così vivida alcuni mesi fa, inizia a somigliare al ritorno di Ulisse a Itaca. Stiamo inseguendo un’immagine diventata progressivamente uno spettro, mentre una nuova normalità si faceva silenziosamente largo nelle nostre esperienze senza che ce ne rendessimo conto? Quanto è cambiato nei rapporti che abbiamo con l’ambiente (primo fra tutti l’ambiente digitale), fra di noi, financo con noi stessi, in questo anno abbondante di pandemia?

La nostra piccola redazione informale ha attraversato anch’essa questi turbamenti: a un certo punto la matassa si è rivelata più imbrogliata del previsto e trovarne il bandolo, che pensavamo di avere ben saldo in mano, si è rivelato improvvisamente difficile.

Il risultato è un numero anomalo, che abbiamo deciso di qualificare come “monografia” più che come “magazine” vero e proprio e che non poteva che partire, per ripartire, dall’elemento più essenziale: il nostro Io che, spaesato, si (ri)guarda allo specchio e si specchia – cercandolo – nell’altro.


A partire da… Why I am not a painter di Frank O’Hara – pt. 3

Cosa dicono le parole arancio e sardine di chi – o cosa – sia un poeta? In Why I am not a painter di Frank O’Hara dicono tutto. Due parole in apparenza con eguale peso specifico, divengono nella poesia di O’Hara la sintesi di due processi creativi ben diversi: quello del pittore e quello del poeta. Probabilmente la scelta di forme espressive differenti – da una parte l’arte figurativa, dall’altra la scrittura – basterebbe a dare una definizione generica delle due figure, ma ciò che O’Hara vuole mostrare al lettore sembra più una somiglianza, che una distanza. Il poeta, infatti, non esordisce presentandosi come tale, bensì come un “non-pittore”. Quasi, insomma, come un pittore mancato.

InWhy I am not a painter, le parole sono inizialmente il punto di partenza comune, divenendo poi il discriminante, non per il loro significato, ma per la quantità: sia O’Hara che l’amico e pittore Mike Goldberg partono da un’unica parola, ma, mentre nel quadro di Goldberg SARDINE diviene troppo, per O’Hara “ci dovrebbe essere molto di più, non d’arancio, ma di parole”.

Se O’Hara si identifica nel ruolo di poeta, ciò avviene attraverso l’immagine di pagine colme di parole. Si potrebbe quindi facilmente immaginare la crisi che provocherebbe in lui il rimanerne a corto. Dopotutto è noto il terrore che qualunque scrittore – prima o poi – si trova a provare, quando, di fronte ad una pagina bianca, le parole sembrano essersi esaurite. La riflessione che Paul Auster esprime in merito attraverso lo stravagante personaggio di Stillman in City of Glass, va però ben oltre il “semplice” blocco dello scrittore: [Continua »]


A partire da… Why I am not a painter di Frank O’Hara – pt. 2

“Mad about painting” exhibition

Nella raccolta Racconti brevi e straordinari, compilata da Luis Borges e Adolfo Bioy-Casares, figura un testo che i due intitolano Lo studioso, tratto dalle Cento vedute del monte Fuji del pittore Katsushika Hokusai:

Fin dall’età di sei anni ho sentito l’impulso di disegnare le forme delle cose. A circa cinquanta, ho esposto una collezione di disegni; ma niente di ciò che ho raffigurato prima dei settant’anni mi soddisfa. Solo a settantatré anni sono riuscito a intuire, pur se approssimativamente, la vera forma e natura degli uccelli, dei pesci e delle piante. Perciò, a ottant’anni avrò fatto grandi progressi; a novanta avrò penetrato l’essenza di tutte le cose; a cento, sarò sicuramente asceso a uno stato più alto, indescrivibile, e se arriverò a centodieci tutto, ogni punto e ogni linea, avrà vita. Invito quelli che vivranno quanto me a verificare se mantengo queste promesse. Scritto all’età di settantacinque anni da me, un tempo chiamato Hokusai, e oggi Huakivo-Royi, il vecchio impazzito per il disegno.

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