Intervista ad Alberto Castelvecchi, artigiano del talento.
Ore 17:00.
5 giugno 2007, mezz’ora dall’intervista: sono teso, lo confesso. Per uno come me, che ha trascorso perte della propria giovinezza inviando manoscritti a piccoli e grandi editori e che è passato da poco dal ruolo di “aspirante scrittore” a quello di “esordiente sconosciuto”, Alberto Castelvecchi è un po’ un mito e non fare una bella figura mi dispiacerebbe sul serio. Per tranquillizzarmi ho fatto un giro di telefonate ad alcuni amici e conoscenti, ricavandone i seguenti consigli: “vai facile, basta lasciarlo parlare”; “sta attento, se lo lasci parlare non lo fermi più”; “chiedigli perché veste sempre di nero”.
Quello che so di lui è: 1. che è un personaggio chiave della piccola editoria italiana di qualità (come editore è attivo “soltanto” dal 1993, ma molti non esitano a definirlo “storico”); 2. ha una aneddotica alla spalle da fare invidia a Teo Teocoli (si va dall’identità di uno degli autori più richiesto del catalogo Castelvecchi, il fantomatico reverendo William Cooper con il suo “Sesso estremo”, all’occupazione della sede della sua casa editrice da un presidio antifascista dopo la pubblicazione del libro “Centri sociali di destra” di Domenico Di Tullio); 3. anche i suoi detrattori, quelli che lo definiscono “editore corsaro”, sono costretti a premettere almeno mezza pagina di “sebbene” alla loro critica. Insomma: se non riesco a cavare qualcosa di davvero interessante da un personaggio così, la colpa non può che essere mia. Se questo non bastasse, sono attrezzato con un registratore digitale Samsung preso in prestito e non sono per nulla certo di saperlo usare. Ho passato il pomeriggio in un Bar a trenta metri da via Isonzo (sede dell’Editore) a registrare provini e, detto tra noi, credo di essere andato via senza pagare il caffè. [Continua »]