di
Valerio De Felice -
pubblicato il 13 Settembre 2021 -
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Sembra che la prima testimonianza di una parvenza di rappresentazione cartografica, giunta intatta sino ai nostri tempi, non riguardasse la superficie terrestre quanto quella celeste. Si tratta di alcuni puntini dipinti con pigmenti minerali, circa sedicimilacinquecento anni prima di Cristo, sulle pareti delle grotte di Lascaux, che riproducono, in piccolo, costellazioni quali le Pleiadi, Vega, Deneb e Altair. Questi frammenti di mappe del cielo notturno, intervallati da figure di cervi, bisonti, cavalli e felini, ci ricordano uno dei bisogni che da sempre accompagnano l’umanità, ovvero la necessità di orientarsi nel mondo.
Orientarsi significa, letteralmente, trovare l’oriente e, da lì, determinare gli altri punti cardinali, in modo da chiarire la propria posizione geografica. La capacità di sapersi localizzare nello spazio circostante e di stabilire delle coordinate in grado di ridurre a sistema i luoghi conosciuti e sconosciuti rappresenta uno di quei passaggi evolutivi fondamentali nella storia dell’uomo. Tuttavia l’esigenza di orientamento spaziale, pur coincidendo con una necessità di basilare sopravvivenza dell’umano, di per sé non soddisfa la domanda di senso dell’individuo, che si chiede piuttosto quale sia la sua posizione esistenziale nel mondo. Sono note, in proposito, le tre ferite narcisistiche individuate da Freud, che umilierebbero l’uomo rivelandogli la menzogna di una sua supposta centralità rispetto al cosmo (Copernico), all’evoluzione (Darwin) e, infine, rispetto a se stesso (Freud). Ma tali disillusioni non rappresentano la causa di un disorientamento; al contrario sono spie della necessità umana di individuare il proprio posto nel mondo, inteso come consapevolezza della situazione in cui il soggetto viene a trovarsi, in relazione allo spazio, al tempo, a se stesso, agli altri. [Continua »]