Colorum confinia

Mundum intueri homines videre et res videre valet.

Homines et res semper varii sunt. Igitur mundum videre colores videre valet. Sed haec alium super alium, alium in alio non variant. Machinae ad potionem coffeam parandam color ravus in roseo meae manus colore non variat. Color ravus ravus est et roseus color roseus est, etiam si rosea manus mea ad illum raveum sumendum cum eius rei forma se exaequanda est. Etiam duo corpora nuda quae appropinquant [Continua »]


La frontiera americana tra realtà e immaginario

  • Non si può parlare dell’avventura se non si ha una idea della «frontiera». Leggo nel classico The liberation of American Literature (1932) di Calverton: It was the frontier which … released energies of impulse and aspiration.
  • Parlare di avventura significa parlare di qualcosa che ad-viene da «altrove».
  • E parlare di altrove significa riferirsi a un limite che separa e congiunge due territori.

La letteratura statunitense ha una delle sue più profonde radici proprio nella figura della frontiera. Già nel 1784 John Filson invitava nel suo Kentucke a non perdere l’occasione di raggiungere «la terra della promessa, dove scorre latte e miele (the land of promise, flowing with milk and honey)». Da Filson a Jack Kerouac si sviluppa l’archetipo culturale legato alla frontiera e la figura del Nuovo Adamo che cerca di mantenere intatta la propria innocenza nell’Eden del Nuovo Mondo, fuggendo dalla civiltà verso la wilderness. In Filson è il Kentucky, in Kerouac – cioè nel mezzo dell’era industriale e della motorizzazione di massa – è il viaggio on the road lungo la raw land that rolls in one unbelievable huge bulge over to the West Coast (terra nuda che si srotola in un’unica incredibile enorme massa). [Continua »]


Way to blue

Autore di raro e indiscusso talento, con soli tre dischi all’attivo, Nick Drake, passato per anni inosservato al grande pubblico, è considerato oggi un musicista di culto. Shy, detached, remote from other people (timido, distaccato, lontano dalle altre persone) lo definisce chi l’ha conosciuto e l’ha visto camminare per le vie di Londra con la testa calcata tra le spalle, come a ripararsi da un costante vento gelido. Affascinante, misterioso, raffinato; ai comprensivi produttori discografici della Island, che lo pregavano di promuovere i suoi dischi dal vivo, rispondeva gentile: I will think about it, ora ci penso.

In tempi in cui Jim Morrison veniva puntualmente tirato giù dal palco dalla buoncostume e Paul Mc Cartney dava scandalo dichiarando di aver provato l’LSD, Nick Drake, in una delle sue rarissime performance live, seduto al centro dell’occhio di bue, sconcertava il pubblico, cantando una canzone dietro l’altra, senza interruzione e senza alzare lo sguardo: anti-divo per antonomasia, si alzava alla fine per andarsene, con l’ultima nota della chitarra ancora tenuta. La madre, Molly Drake, mimetizzata con il marito in una folla scalmanata di ventenni, notò che in quell’occasione Nick portava quei pantaloni neri che si metteva tutti i giorni. Del mondo rock, Drake con nonchalanche ha trasgredito la trasgressione non solo nelle pose, ma anche nell’interpretazione delle canzoni, dove ai wanna-gonna e ai come-on-baby d’oltreoceano, ha sostiuito l’englishness della sua pronuncia perfetta made in Cambridge.

A Nick Drake interessava altro: [Continua »]



Perchè la pelle diventa blu e l’uso del ketchup (sull’editoriale)

Sai Antonio? Il tuo editoriale fa venire i brividi. Ancora ora. Dopo un paio di giorni.

Però… però: senti che scrivi. Scrivi che il grigio è grigio e il rosa è rosa, e ok, come no?, e che “la mano rosa, per prendere quella cosa grigia, deve adeguarsi alla sua forma”. Non c’è che dire. Ma la mano si “adegua” non è che si fonde, che si confonde. Si conforma, sì, prende la forma che gli serve (è fatta apposta! come nelle scimmie) per agguantare quella cosa, la caffettiera. La mano si adatta, certo, ma non puoi dire che perda la sua forma… se mai la modifica, momentaneamente, secondo necessità, per un po’, quel tanto. Insomma, non ho capito perchè per difendere i colori attacchi la forma.

E poi dici: “Persino due corpi nudi che si avvicinano restano di un rosa o di un nero o di un altro colore diverso”. Sei sicuro? Per esempio: anche negli animali funziona così? Quelli che diventano verdi perchè stanno su una foglia verde, o beige perchè sono sulla sabbia o marroni nel fango… non è la stessa cosa della forma della mano, non si confondono anche loro nel colore?

“E, se non basta il colore, la differenza è data anche dall’ombra dell’uno sull’altro che produce contrasto.”, dici. Nell’esempio che hai fatto, quello dei corpi, mi sa che non è vero. [Continua »]


Le frontiere dei colori

Guardare il mondo significa vedere persone e vedere cose.

Persone e cose sono sempre colorate. Dunque vedere il mondo significa vedere colori. Ma questi oggetti non sfumano l’uno sull’altro, l’uno nell’altro. Il grigio della caffettiera non sfuma nel rosa della mia mano. Il grigio è grigio e il rosa è rosa, anche se la mia mano rosa, per prendere quella cosa grigia, deve adeguarsi alla sua forma. Persino due corpi nudi che si avvicinano restano di un rosa o di un nero o di un altro colore diverso. E, se non basta il colore, la differenza è data anche dall’ombra dell’uno sull’altro che produce contrasto. [Continua »]


Philippe Jaccottet. Fiori, colori.

Quando si parla di colori si finisce per trattare, prima o poi, anche dei fiori: tema capitale della poesia che però riesce difficilmente a interessare ancora il lettore contemporaneo. Per uno sguardo conquistato, suo malgrado, dall’invasità del male, la bellezza di una corolla, così inutile e indifesa, passa in second’ordine. In Tempi brutti per la poesia Brecht proclama il suo entusiasmo per il melo in fiore, ma solo i proclami di Hitler lo spingono a impugnare la penna; avrebbe voluto scrivere di quel bianco vivo e supremo ma trovava quasi offensivo dedicarvi attenzione mentre l’Imbianchino – come soprannominava il dittatore – annullava tutte le opinioni attraverso metodiche, inarrestabili pennellate di retorica. I colori scomparivano dal suo mondo, annullati dall’uniformità dell’ideologia.

Questa primavera mi sono imbattuto in una raccolta di poesie sui fiori davvero convincenti: si tratta di E, tuttavia, dello svizzero Philippe Jaccottet (traduzione di Fabio Pusterla, Marcos y Marcos, 2006, pagg. 209, euro 15,00). Una lettura che, incredibilmente, mi ha imposto i luoghi in cui leggerla; perché la grande poesia non si può leggere ovunque, né a qualsiasi ora, almeno per chi legge con il corpo oltre che con le meningi. Questo volume va assaporato all’aria aperta, in silenzio, immersi nel verde e nel sole. Sa di felicità conquistata [Continua »]