Le proporzioni mitiche della vita

«In occasione di una delle nostre ultime gite in macchina – mio padre era alla fine della sua vita terrena – ci fermammo nelle vicinanze di un fiume, raggiungemmo a piedi la riva e ci sedemmo all’ombra di una vecchia quercia. Dopo un paio di minuti mio padre si tolse scarpe e calzini, immerse i piedi nell’acqua che scorreva limpida e restò lì a fissarli. Poi chiuse gli occhi e sorrise. Non lo vedevo sorridere così da molto tempo. [Continua »]


Giardini in tasca su caldaie crepate

“Bombasicilia” è il trimestrale d’approfondimento curato dalle Kukuzze. Il nuovo numero, il quinto del quinto anno, si intitola “GIARDINI IN TASCA SU CALDAIE CREPATE”.

117524893_c344a9894e_m62 pagine e un nuovo menabò disegnato da Luigi “g1ga” Bellanca.

L’Editoriale di Maria Renda, “Per quelli che prendono la letteratura sul serio”, apre il numero dedicato al cosmo dell’esperienza della lettura. I giardini in tasca sono, secondo un proverbio cinese, i libri, quelli che ci portiamo sui treni, nelle università, quelli che ci hanno aperti a nuovi sensi e quelli che ci hanno lasciati annichiliti, le caldaie crepate sono le parole con cui quei libri sono stati scritti e quelle con cui cerchiamo di descriverli. [Continua »]


A proposito di miracoli

(L’esperienza delle PIETRE DI SCARTO)

Questa volta è stata proprio dura”, ci diciamo in coro appena arrivate, ma siamo soddisfatte: ci siamo date da fare, abbiamo cercato da sole oppure facendoci aiutare, chiedendo consiglio ad amici e parenti, coinvolgendo tutti in questo gioco appassionante.
Come si fanno i miracoli” – ci dicevano quelli ai quali ci siamo rivolte – “devi chiederlo a Dio: Lui certamente se ne intende” oppure “Ma che vai a pensare? Certo che ne hai di fantasia!” e qualche marito “C’è un mucchio di roba da stirare, quello sì che sarà un miracolo…”.

Ci sentivamo come esseri di un altro pianeta, stupide illuse che si danno a ricerche fasulle mentre urgono ben altri problemi da risolvere. Eppure siamo qui, nella sala della Biblioteca Comunale, che sentiamo ormai nostra, alla solita ora (beh, questa, però, è come al solito approssimativa).
Ciascuna di noi ha trovato più di una pagina di prosa o poesia, ma anche il testo di qualche canzone, qualche film e persino riferimenti a qualche opera d’arte. Notiamo con soddisfazione che il campo di ricerca delle nostre Officine va allargandosi ed approfondendosi, ma quel che più è importante è che continuiamo a conoscerci tanto da arrivare a prevedere l’ambito e il tipo di ricerca nel quale quasi sicuramente ciascuna si sarà cimentata.
Un’altra bella novità sono Vera Munafò, dottoranda all’Università di Messina in Scienze della Formazione e docente di lettere, che ha attraversato lo Stretto per essere con noi e Teresa Celestino, docente in pensione e attivissima volontaria ospedaliera, che può partecipare solo alle Officine perché tutti gli altri giorni è impegnata con l’AVO in Ospedale. [Continua »]


Il latino: una lingua che ancora unisce

La musica, l’amore, il mistero fusi insieme da una lingua che ancora unisce, soprattutto nella società globalizzata

paganiniIl nostro futuro sarà forse scritto in latino? Nel mondo occidentale globalizzato e informatizzato può esserci ancora spazio per la lingua dei nostri antichi padri? Forse sì, o comunque è questa la scommessa di Rosa Elisa Giangoia, professoressa di lettere (e di latino, ovviamente) nei licei di Genova e scrittrice, giunta al suo terzo romanzo che, non per sbaglio ha vinto, da inedito, il primo premio al Concorso Internazionale «Città di Salò 2004». Il latino è il vero protagonista di questa delicata storia di amore, una lingua che oggi è davvero (e non solo nella finzione letteraria della Giangoia) molto usata nel variegato mondo di Internet, proprio come forma di comunicazione universale che, attingendo dal passato, unisce davvero tutte le culture; una lingua che unisce senza cancellare le realtà particolari.

Oltre al latino c’è l’arte (in particolare la musica e la poesia): una dimensione che, proprio per la sua gratuità rende l’uomo più aperto e meno impreparato ad affrontare tutti i problemi dell’oggi. Sono queste le conclusioni a cui arriverà il lettore seguendo le orme del giovane protagonista: Diego Dandini, 37 anni, di Genova, studioso di letteratura cristiana antica che, seguendo il suono di un violino si imbatte in una ragazza di Praga, Mylada. La musica è un miraggio per i due ma anche un modo di accesso al mistero della vita. Diego e Mylada, parlando appunto solo in latino, si mettono sulle tracce del “segreto” di Paganini, della sua inimitabile arte. E lo troveranno: mentre vagano per lei vie della città ecco che nell’aria si diffonde un suono di violino, e sono proprio i «Capricci» di Paganini. I due, ipnotizzati dal “miraggio di Paganini”, arriveranno alla fonte di quel “segreto”.

Nel momento in cui il miraggio si realizza, ovviamente svanisce. A Diego rimarrà il ricordo di Mylada che, con gli occhi scintillanti di felicità, lo saluterà trepidante («Multas gratis tibi ago»: ti ringrazio molto) con un bacio leggero e rapidissimo prima di sparire. Non la rivedrà più e non potrà fare a meno di pensare che il bello della vita non è il possesso ma il dono, è amare, incontrare qualcuno che dia al nostro cuore la misura, il palpito dell’incontro e l’emozione del desiderio.

«Il miraggio di Paganini», Rosa Elisa Giangoia, Ibiskos, pp. 87, 12 euro
Romasette, supplemento domenicale ad Avvenire 26 marzo 2006


Dove e quando nasce il seme fecondo della scrittura?

Quando zampillò dapprima quella fonte che doveva riempire papiri e biblioteche, riversarsi nel grembo accogliente degli scriptoria medievali e poi abbracciare la carta stampata, beffando chi non mancò di affermare che quei nuovi libri prodotti in serie su materiale cartaceo non avrebbero retto all’usura del tempo, per smaterializzarsi, infine, sullo schermo del computer adesso?

Ettore e Andromaca, Giorgio De ChiricoPercorrendo un cammino a ritroso troveremmo che presso date civiltà l’uso della scrittura fu inizialmente legato a necessità di controllo politico-economico da parte di un potere centrale su un territorio ad esso soggetto, ma chi e quando per la prima volta nella storia della letteratura occidentale diede spessore culturale a quel gesto di indubbia utilità pratica? Perché e in quale contesto una tale istanza poteva sorgere? [Continua »]


Siamo fatti di storie

Prima o poi la domanda arriva: che cos’è una “storia”? Cosa cerchiamo in lei? Perché qualcuna ci rapisce, ci apre gli occhi e altre ci fanno pensare che abbiamo solo perso tempo a leggere l’ultimo libro consigliato dai critici parrucconi?

storia_infinitaQuesta è una domanda mastodontica. Di quelle che spiazzano. È come se, seduto davanti il riporto, la forfora e le caccole del mio prof (uno qualunque), dalla sua bocca laureata partisse una macro-domanda come: “Signor Pintacuda, mi parli dell’Essere”. Stesso identico imbarazzo: ci sono troppe cose da dire. E allora procediamo con ordine come ho appreso in questi lunghi pomeriggi curvati sui libri di filosofia e sotto la barba dei vari calendari di Frate Indovino.

La prima cosa che ho chiesto al mio professore di Filosofia del Linguaggio nella primissima lezione è stata la soluzione del celebre paradosso del mentitore, avevo passato notti insonni a tentare di smascherare il mendace cretese. Il bello dell’Università è la luccicante capacità di rispondere con domande-guscio: dure, coriacee, solide fuori e dentro vuote. Proprio come la noce più bella che hai scelto dal cesto.
“Tutti i cretesi mentono.”
“Io sono cretese.”
Sbucciate voi sto gomitolo che già ho bruciato abbastanza sinapsi.
Arrivo dal Prof. e mi risponde col bicondizionale tarskiano, riducendo all’osso: l’autoreferenzialità conduce al paradosso. Il concetto di verità scivola via, sguscia sempre traslitterando di un livello, posso circoscrivere la verità di un’affermazione studiandola in un metalinguaggio di grado avanzato.
Ecco il problema, parlare di storie è lo stesso, tutto è “storie”. Le scuse che snocciolavo a mia madre quando sparivano i pandistelle o le invenzioni spudorate che svendo-evo-erò ai miei lettori, tutte storie. Storie, ecco cosa distingue l’uomo dagli altri primati, non è l’accoppiamento frontale Perché Piero Angela mi ha fatto sapere che anche i bonomo si accoppiano come noi, non è nemmeno la vocalizzazione, né tanto meno riconoscersi in uno spicchio di specchio.

L’uomo è un produttore di storie, costantemente rielabora quello che gli accade, l’IO vive e il ME rielabora, dattilografando solo le cose che meritano un posticino nella Memoria a Lungo Termine, il resto vola nel Cestino e da lì scompare. Produco storie dormendo: attraverso la soglia onirica ed ecco che sfavillanti ritornano facce, colori, sapori e scrivo e leggo e vivo, REM dopo REM.
Raccontiamo agli altri e a noi stessi sempre storie diverse, colorando la nostra quotidianità. Ci sono storie che ci restano addosso e altre che scivolano via. E c’è la Storia che prima sembrava immutabile e ora può pure lei essere rielaborata, riaggustata, sfumata, sfilacciata e ri-raccontata.
Mi ci romperò la testa sulla capacità di diffusione capillare delle storielle, viaggiano veloci di bocca in bocca, mail dopo mail e ci incrociano la vita e ritornano sul nostro cammino.
Storie come quelle che mio padre mi raccontava per evitare l’inevitabile trasloco notturno: cascasse il mondo, sino ai miei 5 anni notte dopo notte, imprecazione paterna dopo imprecazione paterna, dovevo passare dal lettino al lettone e lì, beato, m’inventavo le MIE storie. Storie che poi facevo interpretare alle ombre che abitavano (e penso abitino ancora) lo specchio sul comò.
Ho dovuto affrontare una Storia per accedere alla primina, la storia di una barchetta di carta che becchettava (mi sa che Steve King ha preso da lì lo spunto per l’incipit di IT), il sadismo dei maestri era senza fine, avevano escogitato un dettato zeppo di parole come Becchettio, Sciabordio, Rollio e Gocciolio. Parole che da allora ho rincontrato solo tra le pagine più soporifere di MOby Dick. Il dettato finiva tragicamente con un vento maligno che metteva tutto a SOQQUADRO.
E poi c’è Ende con la sua STORIA INFINITA e il successo dell’eroico affabulatore Bastiano Baldassare Bucci che ripopola il vuoto di Fàntasia con le SUE storie. Storia dopo storia il nulla arretra e il vento lo soffia via, lontano, al di là dei pianeti e delle stelle conosciute. E vola via pure Bastiano sulla schiena pelosa del suo Fortunadrago.
Sono TUTTE STORIE che (ci) raccontiamo per riempire quei giorni che ci separano dalla fine della NOSTRA storia. Pensandoci bene la luce cattiva dell’ovvietà ci fa spesso dimenticare che tutta la nostra vita è una storia unica. Magari con migliaia di punti d’intersezione con altre vite ma sempre unica e inimitabile. Si è intrecciata anche la mia con la vostra per il semplice motivo che nel vostro QUI e nel vostro ORA mi state leggendo.
Quando chiederò al mio serpente giallo di alleggerirmi da questa buccia di ossa, organi e tessuti lampeggerà semplicemente la parola fine, come nei vecchi film che passano in tivù, caratteri quadrati bianchi su sfondo blu.

Chissà, forse qualcuno mi ricorderà nelle SUE storie.


C.S.Lewis, una breve introduzione

Mentre nell’assolata e affollata Dallas il più “giovane” Presidente degli Stati Uniti cadeva sotto i colpi di ignoti sicari, dall’altra parte dell’oceano, si spegneva, nel silenzio della più profonda solitudine, un oscuro vedovo e professore di filologia di Cambridge: Clive Staple Lewis, per gli amici, “Jack”. Sette giorni dopo, il 29 novembre di quell’anno, Jack Lewis avrebbe compiuto 65 anni essendo nato esattamente cento anni fa, a Belfast. Ma chi fu questo professore dal nome così comune? [Continua »]