Viaggio attraverso l’Eneide IV

Riprendiamo la lettura dell’Eneide dal IV libro. Per chi si fosse perso i primi tre ecco i link al I, al II e al III.

Didone morente

Didone morente

Il libro III si chiudeva con Enea che, terminato il suo racconto, si concedeva al ristoro del sonno. Il libro successivo si apre nel segno della contrapposizione: at regina gravi iamdudum saucia cura / volnus alit venis et coeco carpitur igni (vv. 1-2). At è una congiunzione che indica il passaggio da un pensiero a un altro, posto al principio, crea una contrapposizione tra lo stato in cui versa la regina e la serenità di Enea. Sino a questo punto ciò che sappiamo di lei ci viene dal libro I, ora ricompare innamorata, come già la conclusione di quello preannunciava. Nei soli due versi iniziali Virgilio ha condensato il destino di Didone e ci prepara alla sua conclusione: ella è piagata nell’animo (saucia) da un tormento che si rivela subito grave, mortale (gravi), nutre la ferita nelle sue viscere (venis) ed è divorata da un fuoco cieco nella sua forza distruttiva. [Continua »]


Confini

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Esiste un confine in letteratura? E che cosa si intende con questa parola?

Noi di BombaTV lo abbiamo chiesto a tre scrittori incontrati a maggio di quest’anno a Torino, in occasione della XX Fiera Internazionale del Libro, edizione dedicata proprio a questo tema.

Hanno parlato con noi:

  • Claudio Piersanti, giornalista e autore di numerosi libri come Luisa e il silenzio e Il ritorno a casa di Enrico Metz;
  • Davide Sapienza, traduttore e autore de I diari di Rubha Hunish e de La Valle di Ognidove;
  • Fabio Stassi, il giovane autore di Fumisteria (premio Vittorini opera prima 2007) e di È finito il nostro carnevale.

Per dire che il confine in letteratura è una categoria labile tanto da scomparire e diventare orizzonte, opportunità, ponte e occasione di dialogo. Perché la letteratura travalica i perimetri geografici, le lingue e le epoche…


La Londra di Tondelli

La prima volta che Pier Vittorio Tondelli nomina significativamente Londra è nel 1982. Nella sua «cronaca» (Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta, Milano, Bompiani, 1990, 198-200. 386-396) lo scrittore mostra «una sublime fauna giovanile» che «continua a mischiarsi e a fluttuare attraverso atteggiamenti, pose, comportamenti e gesti del tutto imprevedibili» (ivi, 198). Sono i giovani che passeggiano nel West End «con i loro codini libertini, i completi azzurri o cremisi o violacei, le calzature di plastica color mosto d’uva, del lillà o addirittura maculate di leopardo e di ghepardo» (ivi). Le ragazze invece sono ritratte come «signorine squiziosissime con minigonne a paralume, frappe e pizzi e alamari, giubetti e corsetti e volant e spilloni nei capelli» (ivi). Tutto già revival del punk di King’s Road del 1976: revival dunque e non realtà originale, “novità”. È una Londra-«corto circuito» di [Continua »]


La città paradossale

Quante città nella mia vita! Quante non città nella mia vita! Non sto menando il can per l’aia, anche perché trovandomi in città di aie non ce ne sono, a meno di considerare aia il luogo dove si starnazza. Sarebbe però una nobilitazione eccessiva per chi il suo tempo lo perde e lo deturpa svilendosi, paragonandolo alle splendide oche che, peraltro, salvarono il Campidoglio. Historia magistra vitae.
Ad onor del vero neppure il cane ho con me.
Ho però una capra proprio perché sono in città, capra dal manto marrone chiaro, caldo, con pennellate nere, capra che mi guida per oscuro percorso, dove mai sfocerà? Gli è che vivo in una città paradossale, dopo essere passata, transitata e aver gettato radici in città del tutto normali (o quasi). Costruzioni antiche e costruzioni moderne, piazze e logge, villette isolate da un bel giardino e serpentoni di case popolari. Tutta la storia dell’uomo e della civiltà che ti interpella e ti chiede: tu sei nato qui, che cosa stai facendo? Dove stai andando?
In città, tirata da una.. capra.

Sono nata qui, ma non sono nata qui.

Perché sono nata dall’utero di pietra da cui tutti siamo usciti. Io ebbi origine in quel feto che cresce in tutte le direzioni partendo dall’ombelico, proprio così Dio ha creato il mondo, partendo da un punto centrale.
Ombelico di chi rivolge a JHWH il cuore.
Io le vado incontro, ma è la città che mi viene incontro.
Vivo in un punto e non sono un nanopod.
Perché è il «misterioso punto d’incontro tra tempo e eternità, punto dello spazio e del tempo dove Dio si è reso presente nella storia» (M. Dubois).
Quella tangenza fra Dio e l’uomo, fra l’eterno e la storia.
Lo ripeto: è la città del paradosso.

L’aia che non c’è e con il cane che neppure c’è.
La capra sì. Mi tiene legata con filo d’oro…

Ti do il capo di un filo d’oro,
tu avvolgilo, fanne un gomitolo.
Ti guiderà.

Dove? Non te lo dico subito!!
Ma quasi.
alla porta del cielo
che s’apre nelle mura di Gerusalemme

Così canta W. Blake.
Questa mia città non è la “madrepatria”, è la sposa, mi dicono i saggi.
La capretta tira il filo, è gioco forza seguirla: sento canti, profumi di cibi invitanti, stoviglie di classe e bicchieri scintillanti, profumo di Shabbat.

Città ti chiamo con i tuoi antichi nomi:

Urushamem, come in terra d’Egitto?
Ur’alem, come a Tell Amarna?
Ursalimmu, se seguo la stele di Sennacherib?
Ir’alem come in Bereshit?
Sto andando ma non sto andando

Perché qui si sale.
Salgo non perché Jerushalaim sia santa ma per santificarla, per amare il prossimo perché è il mio me stesso. Mi trovo nel luogo dell’apertura che dona comunicazione, il passaggio verso l’altro in un gesto di accoglienza.
L’intera città di Gerusalemme è come una porta, la cui chiave è smarrita nel silenzio di Dio. Accendiamo tutte le luci, invochiamo tutti i santi, pur di ritrovare la chiave, ci esorta Heschel.
Ci vivo e non ci vivo perché qui perfino l’aria è nutriente, se lo dice S. Bellow.
L’aria, l’aria stessa, a Gerusalemme è nutriente per le idee. Lo dicono anche i Maestri. Sono disposta a crederlo. So che deve avere speciali proprietà:

Città del paradosso: città bacile d’oro pieno di scorpioni.
Città bellissima e città sofferente, così Il Talmud:

Dieci misure di bellezza scesero nel mondo; nove le prese Gerusalemme e una il mondo intero; non c’è una bellezza come quella di Gerusalemme.
Dieci parti di sofferenze sono nel mondo, nove a Gerusalemme e una in tutto il resto del mondo; dieci parti di eroismo, nove in Giudea e una in tutto il resto del mondo.

Il Santo dei santi del Tempio di Salomone.
Il Santo Sepolcro di Cristo e luogo della sua Resurrezione, della sua Anastasis.
Dopo il viaggio notturno, Muhammad qui, dalla roccia del sacrificio di Abramo iniziò la sua ascensione al cielo.
Tutti i popoli danzando a Gerusalemme insieme al popolo del Signore, canteranno attoniti, con gratitudine e gioia: Am Ysrael Chai. “Viva il popolo di Israele“.
Parola del Santo: «Io non entrerò nella Jerushalaim dell’alto finché non entrerò nella Jerushalaim del basso».
Montale affermava: «Solo un cieco e un sordo potrebbero negare che qui qualcosa è accaduto, qualcosa molto più importante della scoperta dell’America e della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo».
È accaduto in tempi lontani e continua ad accadere, tutto fiorisce e si raccoglie dentro le nude pietre di una tomba, per di più vuota, ma che si chiama Anastasis: il luogo del Risorto.
E noi siamo, per lo più, ciechi e sordi, ma danziamo, nel ricordo di Jerushalaim, nel desiderare la comunione orante con JHWH, perché solo la chi desidera non lascia cadere il ricordo della propria terra, della propria città.
La capra non tira più il filo d’oro, si è accosciata a terra e guarda: ormai ci siamo!
Marc Chagall accompagna ora i suoi due sposi nel volo librato e felice.


Attraversando le nuvole

Lui è rimasto qui, accanto. Prima di ogni notte, dopo ogni mattino. È un anno, che non lo lascio più.
Sulla traccia di Nives di Erri De Luca (Piccola Biblioteca Oscar Mondatori, Ottobre 2006), è diventato per me incontro permanente, massa, soccorso giusto, sicuro. Qui, sul comodino, Nives in copertina sepia, che scala il monte in controluce, attraversando le nuvole, incontrando da vicino il cielo, rasserena. Rassicura.
Nives Meroi, bergamasca, è tra le pochissime donne al mondo ad aver affrontato sette dei quattordici giganti che superano gli ottomila metri. Nives scala con suo marito e con un giovane fotografo, senza portatori d’alta quota, senza bombole d’ossigeno. Anche Erri ha amore per le vette, e segue Nives da tempo nelle sue imprese. In questo libro, Erri e Nives si parlano. Semplicemente, si donano pensieri, pezzetti di piccole cose imparate dalla verità, e dal dolore.
Ed insegnano a vivere, a come si dovrebbe vivere, la vita assunta addosso unicamente per divenire felici, per restare felici. Attraversandosi.
Felicità diventa, così, il ritorno all’essenziale, all’ascolto dei bisogni del corpo, che non muta le domande quando cambiano gli eventi. Il corpo è traccia fedele a se stessa, è la coerenza del dialogo con l’anima. Bisogna solo saperlo ascoltare, questo corpo intrecciato indissolubilmente con l’intimità. Fare coppia leale con se stessi e con i segnali del mondo, crea contatto autentico, asciutto con le sollecitazioni dell’esistenza, che si sceglie come “casa” da portare “sulle spalle”. [Continua »]


Il rock e i suoi antenati. A colloquio con Alessandro Portelli

Secondo lo storico Laurence Moore i revival religiosi hanno mostrato agli Stati Uniti “il modo di organizzare un’azione comunitaria efficace” che in qualche modo inglobava la dimensione dello spettacolo. Come si articola, in che cosa consiste questa dimensione spettacolare? “Con il Great Awakening e il Great Revival, – scrive Alessandro Portelli – le ondate di fervore evangelico che spazzano il paese tra la metà e la fine del ‘700, l’improvvisazione prende il sopravvento. L’accento si sposta dal testo alla performance, accompagnata da un uso drammatico del corpo e della voce”. Al centro dell’evento “spettacolare” ci sono dunque “i comportamenti di massa, l’emozione collettiva e la sua espressione corporea e musicale”. Anche l’oratoria politica cercherà poi di imitare “questa arte della parola individuale che riassume la voce collettiva”, di strutturarsi attorno alla performance [Continua »]


TobyMac, Atmosfera (Atmosphere)

TobyMac, Atmosphere (Renovating Diverse City)

I know you keep a journal and every page is rippled
From the tears that you cry, ain’t no meanin’ to your scribble
Cause words can’t describe what you’ve been feelin’ inside
It’s like thousand foot walls, and they’re still on the rise
But look up to a beautiful sound
And see for yourself you’re not that far down
And know this, I cannot love a little
My promise to you is unconditional

And I’ll keep the light on, for you [Continua »]